sabato 9 ottobre 2010

C'è poco da capire



Era la settimana prima di Pasqua del 2007, la settimana santa; forse – se non ricordo male - era giovedì 5 aprile. Rientravo a casa da una commissione fatta sulla Cassia, quando in prossimità della Parrocchia Cattedrale della Storta mi venne in mente di riprendere la buona abitudine di far benedire la casa. Abitavo dal 25 giugno 2006 nella casa nuova, al terzo piano in un edificio nuovo sulla Braccianese.

Entrai nell’ufficio della Cattedrale. "Vorrei vedere un prete" chiesi alla signora che aveva l’aspetto di segretaria volontaria. Il prete c’era ed era nero-nero. Gli spiegai che dopo 38 anni e dopo la separazione da mia moglie ero tornato a essere ‘cives romanus’. Gli dissi ancora che avevo comprato casa e desideravo che lui la benedicesse. Era questa una usanza antica della mia famiglia. Mi rispose: "Oggi sono proprio dalle sue parti, ma non desidero che resti in casa ad aspettare me, verrò dopo le 18". Ci davamo il Lei, oggi ci diamo il Tu.

Poco dopo le 18 mi chiamò sul telefonino: "Fra dieci minuti sarò da lei". Scesi per accoglierlo al portoncino e salimmo in casa. "Cosa prende, don Pedro, un succo di frutta va bene?". Decidemmo per una spremuta di arance rosse. Sull’ampio balcone di casa parlammo per una mezz’ora e gli dissi anche del mio passato e della mia separazione. Poi entrammo in sala. Iniziò una vera e propria cerimonia di benedizione. Fece una prolusione e, sapendo che mia figlia si chiama Maria Vittoria, volle dedicare la benedizione della casa a Maria. Così mi trovai dopo tanti anni a recitare l’Ave Maria in una casa nuova, con un prete nuovo, nero-nero, e che veniva dalla Guinea Equatoriale.

Ave o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen

La benedizione: in nome del Padre (ciaff, l’acqua santa verso la cucina) e del figlio (ciaff, l’acqua santa mi prese in pieno, forse lo fece apposta) e dello Spirito Santo (ciaff, verso il corridoio). "Meglio benedire tutta la casa, visto che è la prima volta" don Pedro si avviò verso la zona notte: corridoio, cameretta, camera da letto, bagno, per poi tornare indietro e benedire l’altro bagno. Gli aprii anche la porta dello sgabuzzino: "Un’ultima benedizione, non si sa mai, Satana si potrebbe nascondere anche qui" gli dissi. E sorridemmo tutti e due, ben consci del fatto che il Male, quando si deve nascondere, lo fa in noi stessi, non negli sgabuzzini.

In quegli ultimi tempi avevo pensato molto alla mia spiritualità, a cosa mi sembrava che mi mancasse e a come fare per ricostruirla. Avevo – come ho l’abitudine di fare sempre – usato la ragione. Del resto, la ragione è il dono più grande che penso di avere avuto da questo mistero che chiamiamo 'vivere’ e che facciamo fatica a capire. Il mistero che ci fa soffrire e godere a seconda dello stato d’animo. "Vorrei scambiare due parole con lei, don Pedro, se non le dispiace, ho bisogno di dirle qualcosa". Mi rispose che aderiva molto volentieri alla mia richiesta. Prendemmo un appuntamento per dopo Pasqua.

Quando arrivai da lui negli uffici della Cattedrale mi accolse con un sorriso che solo i popoli africani sanno offrire. Andammo subito in argomento: "Desidero riaccostarmi alla fede" gli dissi (non dissi né ai preti né alla Chiesa né alla religione, ma alla fede). "Ora ho bisogno di dirle a quale punto sono, affinché lei abbia una idea del mio status; forse quando parlerò dirò delle eresie, ma lei abbia pazienza". Si pose in ascolto. Ecco cosa gli dissi.

Da bambino (avrò avuto cinque o sei anni) qualcuno doveva avermi parlato dell’universo infinito e l’idea dell’infinito mi dava sgomento, in modo particolare quando la sera ero a letto. Mi attirava, facendomi pensare a qualcosa che non riuscivo a dominare col pensiero, ma mi dava sgomento e così dopo un po’ dovevo forzare la mente a dirigersi da un’altra parte. Da questo punto ero ripartito dopo i tanti anni di lontananza che attribuivo al fatto che da bambino mi avevano raccontato una religione per bambini e non una fede. Crescendo, quei dogmi religiosi non valevano più. Mi chiedevo altre cose. Mi chiedevo una fede, non una religione. Per questo mi allontanai dalla Chiesa.

Da questo punto di partenza, che ho ripreso di recente, mi sono detto che, se esiste un universo, questo, per il principio aristotelico di causalità, deve avere una causa. Non riesco a pensare che sia altrimenti. Se vedo l’effetto, deve esistere una causa. E la causa non può essere altro che l’Infinito. Lo possiamo chiamare Infinito, Essere Supremo, Dio o come ci pare a noi: è la causa, ciò che ha generato tutto questo che ci circonda, dall’erba del parco di casa mia all’ultima galassia che ancora dobbiamo scoprire. E’ la creazione. Questo è il primo e unico mistero. La creazione. Perché abbia creato non lo so e non riesco a capirlo. Avrò anche io i miei limiti. Del resto, anche nella vita di tutti i giorni entrare nella mente degli altri non è per niente facile. Ma sono sicuro che un giorno capirò, così come al liceo, quando in seconda classe sentivo parlare dai ‘grandi’ di equazioni differenziali e non capivo. Poi in quinta capii.

L’Infinito contiene tutto, spirito e materia: non potrebbe essere altrimenti, sennò non sarebbe infinito: il contenitore del tutto. Di materia so che sono fatto, perché mi tocco e me ne accorgo. Ma anche di spirito. Non mi si venga a raccontare che la mia fantasia è materia! E che la capacità di percepire – sia pure alla lontana – l’infinito è materia! Che quando ero bambino e rimanevo sgomento di fronte al pensiero dell’infinito ero solo materia! E allora perché le pecore non pensano quello che penso io? La creatività ci fa simili all’Ente Supremo, l’Infinito, o se vogliamo Dio.

Sono figlio di Dio e non mi meraviglia il fatto che lo dica quel giovanotto che ha vissuto circa 2000 anni fa: Gesù. Lui diceva di essere figlio di Dio. Ma certo che lo era, come lo sono io, non potrebbe essere altrimenti. Siamo tutti e due figli di Dio. La differenza sta nel fatto che lui ne ha avuto piena coscienza e ce lo ha voluto dire con tutte le sue forze, fino a sacrificare la propria vita per indicarci la strada. Io ora so che sono suo fratello. La condizione per partecipare alla festa è che segua la via che mi ha indicato. La festa è la comunione, sì quella che si prende la domenica quando si sta in ‘comunione’ con gli altri. L’eucaristia.

Partecipare alla festa e avere capito che Gesù e io siamo uguali è una gioia. Lui è uguale a me e sua madre è uguale a mia madre, perché come la sua ha dato la vita a lui figlio di Dio, così la mia ha dato la vita a me figlio di Dio. Ma per capire tutto questo ho bisogno di imitarlo. Seguire i suoi insegnamenti, quelli che sono scritti nei Vangeli. Leggere i Vangeli mi fa diventare capace di imitare Gesù e quindi prendere piena coscienza del fatto di essere anche io un figlio di Dio. E non devo temere il giudizio di Dio, così come mi è stato detto tante volte. E’ alla mia coscienza che devo rendere conto: è lì Dio.

Don Pedro mi ascoltò tutto il tempo senza proferire parola. Tranne un momento nel quale lo vidi sfogliare la Bibbia. Gli chiesi: "Ho detto forse una eresia?". "No, rispose, sto solo cercando il passo che conferma quello che sta dicendo". Quando terminai, parlò lui, con frasi tanto semplici che mi fece rendere conto del fatto che il nostro volgerci al Padre, il nostro avere fede in lui, il nostro affidarci a lui, il nostro credere in lui è tutto molto semplice, molto facile.

E che c’è poco da capire.

2 commenti:

  1. Interessante quello che hai scritto
    Emma

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  2. Felice di sentirti,leggendoti, finalmente felice !
    Un fraterno abbraccio !
    Giovanni

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