martedì 26 ottobre 2010

Neanderthal



Quello che sto per scrivere non ha alcun fondamento scientifico, ma mi aiuta nella vita di tutti i giorni a capire con chi ho a che fare, a difendermi e a non innervosirmi. La mia teoria è che l’uomo di Neanderthal non si è estinto, contrariamente a quanto afferma la Scienza. Se non si è estinto, continua a vivere tra noi, con tutte le sue differenze dal Sapiens.

Il Sapiens ha una intelligenza viva, capace di immaginare soluzioni a problemi che vanno al di là del contingente. L’intelligenza, la fantasia, l’immaginazione del Sapiens supera la povera capacità del Neanderthal a trovare soluzioni al di fuori della normalità. Il Neanderthal, quindi, sopperisce alla mancanza di intelligenza con la furbizia.

Se immagino il prototipo dell’uomo intelligente, il mio pensiero va allo scienziato e al filosofo, che non riesco a immaginare di indole cattiva. Chi invece non è dotato di intelligenza ha una indole cattiva: il Neanderthal, che invidia il Sapiens e cerca di superarlo con la furbizia. Cercando anche di fargli del male, se possibile, perché l’invidia (figlia della superbia) porta alla perfidia: il piacere di fare del male.

Nel quotidiano, questa caratteristica del Neanderthal si riscontra in ogni momento: superare la fila di automobili; cercare di fregare dando un resto inferiore al dovuto; chiedere soldi e non restituirli; ricorrere a raccomandazioni per ottenere ‘il posto’; appropriarsi delle idee di un altro e venderle come proprie…

Il Neanderthal non produce pensiero, ma ripete frasi e concetti espressi dai Sapiens, per fare bella figura e per esserne all'altezza. Parla degli altri e non di sé, il più delle volte con intento di fare del male e diffondendo la calunnia. Il Neanderthal non parla di sé perché è vuoto dentro e si appropria di quanto viene detto dai Sapiens, deformando la realtà perché non la capisce; e giudica. Giudica pesantemente le azioni degli altri e non conosce l’umiltà, dote che invece è del Sapiens.

Il Neanderthal, insomma, è cattivo, invidioso, ladro, calunniatore, egoista; al contrario del Sapiens, che è di indole buona, generoso, altruista. Dal Neanderthal ci si può aspettare una pugnalata nella schiena in ogni momento; dal Sapiens no, in virtù del suo carattere generoso e caritatevole.

Quando riferii questa mia teoria a una persona a me cara, si ribellò e mi disse che non era un modo cristiano di vedere i nostri simili. Eppure in un recente numero della rivista Focus (giugno 2010, nr. 212) ho trovato un articolo nel quale si afferma che alcuni scienziati hanno trovato nel DNA dei Sapiens tracce del DNA dei Neanderthal (fino al 4%). Secondo l’estensore dell’articolo, gli scienziati sostengono che Sapiens e Neanderthal si sarebbero accoppiati e l’estinzione del Neanderthal non avrebbe portato a una totale estinzione del loro DNA, che invece si sarebbe conservato nell’attuale Sapiens.

Fino a poco tempo fa consideravo la mia teoria sulla non estinzione del Neanderthal utile per la quotidianità ma bizzarra. Ora, dopo avere letto l’articolo di Focus comincio ad avere dei dubbi. Ha ragione la persona a me cara oppure la rivista che riporta pareri di scienziati? Personalmente, cerco di continuare sulla mia strada, che almeno mi preserva dalle pugnalate nella schiena.

2 commenti:

  1. I piani toccati da Giovanni in questa riflessione sono numerosi e tutti si intersecano per cui sembra impossibile isolare un discorso esclusivamente antropologico da uno scientifico genetico o uno sociale fenomenologico da un altro filosofico o di fede. Provate a spiegare che in effetti la specie umana si è evoluta comunque ed ha raggiunto vette incredibili di conoscenza, ma poi tutto cade di fronte a certe semplici osservazioni quotidiane.
    Le riflessioni di Giovanni appartengono a un genere abbastanza caratteristico, quanto ormai raro, forse addirittura estinto in questi tempi di incrollabili certezze alla portata di tutti: a prima vista appaiono semplici e talvolta superficiali, ma non lo sono affatto e questa su Neanderthal ne costituisce ulteriore ed ennesima riprova. Vengono in mente i pensatori dei secoli scorsi che si ponevano ‘ingenue domande’ quali: «L’uomo è buono o cattivo?» o formulavano affermazioni illustri come «Natura non facit saltus». Dopo secoli di scienza e filosofia, grandi culture e correnti di pensiero che hanno fatto e rifatto la Storia più volte, siamo insomma ancora a un eterno punto di partenza e una risposta certa non c’è ancora e nemmeno ne vedo una imminente, tanto meno sul giornale di domani.
    Se posso fare una piccola osservazione Giovanni non troverà una risposta – e nemmeno noi – e forse va bene così, perché credo sia più importante porsi le domande che trovare delle risposte. A volte le troviamo, ma il prezzo è quello del distacco cinico dal genere umano. In questo caso è inevitabile ammettere che siamo tutti parte del problema, non la soluzione.

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  2. Vero: meglio porsi le domande che trovare delle risposte; o meglio, risposte definitive. Voglio dire che non è male trovare risposte alle domande che ci facciamo, ma è bene che queste non siano definitive, cioè siano suscettibili di evoluzione.

    Di recente un'amica psicologa mi ha chiesto: "Tu hai dubbi?". La mia risposta è stata: "Io vivo di dubbi".

    Battuta carina:
    - Chi non ha dubbi è uno sciocco.
    - Ne sei sicuro?
    - Assolutamente sì!

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